SPECIALE DICHIARAZIONI: Unico Pf, credito d'imposte estere

Con la Circolare 9E del 05.03.2015, l’Amministrazione Finanziaria analizza l’istituto del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. Come noto, il credito per i redditi prodotti all’estero rappresenta il rimedio alla doppia imposizione internazionale adottato nel nostro ordinamento ed è disciplinato dall’articolo 165 del Tuir, applicabile a tutti i soggetti Irpef e Ires.

Con il documento di prassi in esame vengono forniti chiarimenti sul funzionamento delforeign tax credit, illustrando i presupposti di applicabilità e il meccanismo di calcolo del medesimo, nonché le disposizioni specifiche dettate per le imprese.

Nel documento di prassi in esame, come peraltro già evidenziato nelle istruzioni di UNICO 2015, l’Amministrazione Finanziaria ribadisce innanzitutto che per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 del TUIR è necessario che i redditi prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente.

L’istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR, come ad esempio i dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate in società white list.

Per quanto riguarda la definitività dell’imposta, presupposto fondamentale per l’ottenimento del credito, viene ribadito che la stessa coincide con la sua “irripetibilità”, ossia con la circostanza che essa non è più suscettibile di modificazione a favore del contribuente. Al contrario, rimane irrilevante il fatto che l’imposta possa essere modificata in peius a sfavore del contribuente, come nel caso in cui la stessa si riferisca a redditi ancora assoggettabili ad accertamento da parte delle Amministrazioni fiscali degli Stati esteri.

Premessa

La disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero ha la finalità di contrastare i fenomeni di doppia imposizione dei redditi, causati dall’applicazione del principio di tassazione mondiale previsto per i residenti.

Tale disciplina ha subito una sostanziale modifica ad opera del D.Lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003, che ha introdotto l’articolo 165 del Tuir, riformulando la disciplina del credito d’imposta riconosciuto ai contribuenti residenti1 per i redditi prodotti all’estero e per i quali sussista l’obbligo di dichiarazione in Italia.

Rispetto alla previgente normativa (art. 15), l’articolo 165 del Tuir non è più inserito tra le disposizioni generali in materia di tassazione delle persone fisiche, ma viene posizionata nel Titolo II, capo II, dedicato alle “Disposizioni relative ai redditi prodotti all’estero ed ai rapporti internazionali”.

La nuova disciplina contenuta nell’articolo 165 del Tuir, ha introdotto le seguenti novità:

‐ la rilevanza delle perdite pregresse nel calcolo del reddito complessivo;

‐ l’individuazione giuridica dei redditi esteri;

‐ la possibilità, a determinate condizioni, di effettuare la detrazione del credito d’imposta nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui è dichiarato il relativo reddito;

‐ l’espresso riconoscimento del credito d’imposta proporzionalmente alla quota di reddito estero che concorre alla formazione della base imponibile in Italia.

La disposizione è rivolta a tutti i soggetti sia Irpef sia Ires, fatte salve le particolarità specificamente ivi previste per i soli soggetti titolari di reddito d’impresa.

Il riconoscimento del credito di imposta è subordinato al rispetto di determinati requisiti.

In particolare:

– sono detraibili solo le imposte versate a titolo definitivo;

– le imposte versate all’estero devono essere assimilabili all’imposta sul reddito italiano;

– non è possibile usufruire delle detrazione per le imposte pagata all’estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione.

Di seguito, analizzeremo gli aspetti salienti in tema di credito d’imposta per le imposte estere, alla luce dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 9/E/2015.

In particolare, ci soffermeremo sull’identificazione dei redditi esteri, sul concorso degli stessi al reddito complessivo, nell’individuazione dei limiti quantitativi a cui soggiace il riconoscimento del credito d’imposta, alla definitività delle imposte assolte all’estero ed alla documentazione atta a comprovarla.

Credito d’imposta per eliminare la doppia imposizione

Il conflitto generato dalla doppia imposizione tra lo “Stato della fonte” e lo “Stato della residenza” viene risolto dai singoli Stati adottando, alternativamente, come previsto dall’art. 23, lett. A e B del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, il metodo dell’esenzione o il metodo del credito d’imposta.

Sul punto nella citata Circolare n. 9/E l’Agenzia rammenta che l’Italia “ha optato per il sistema del credito d’imposta in coerenza con il principio generale di tassazione dei residenti per tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti”, c.d. “worldwide principle”.

Tale sistema, rende definitiva l’imposizione più elevata tra quella applicata dallo Stato della fonte e quella applicata dallo Stato della residenza. Il sistema dell’esenzione, diversamente, consolida sempre le imposte dello Stato della fonte.

Il sistema del credito d’imposta comporta che se l’imposta Italiana è, rispetto a quella estera:

– superiore, la differenza va versata all’Erario italiano;

– inferiore, non è ammessa la restituzione dell’eccedenza d’imposta estera poiché il credito d’imposta è riconosciuto fino a concorrenza dell’imposta italiana dovuta sul reddito estero.

Ai sensi del citato art. 165 il credito d’imposta in esame è ammesso in detrazione dall’imposta netta in presenza delle seguenti 3 condizioni:

– produzione di un reddito estero;

– concorso del reddito estero al reddito complessivo (del soggetto residente in Italia);

– pagamento delle imposte estere a titolo definitivo.

La produzione di un reddito estero

Il primo elemento di analisi è l’identificazione dei redditi esteri oggetto della disciplina in esame.

In base all’articolo 165, comma 2, del Tuir “I redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

In base al disposto dell’articolo 23 del D.P.R. 917/1986, ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato:

a. i redditi fondiari;

b. i redditi di capitale corrisposti dallo stato italiano, da soggetti residenti nel territorio dello stato italiano o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;

c. i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;

d. i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato;

e. i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni;

f. i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti;

g. i redditi di cui agli articoli 5 (redditi prodotti in forma associata), 115 e 116 (opzione per la trasparenza fiscale) imputabili a soci, associati o partecipanti non residenti.

In pratica, si considerano redditi prodotti all’estero tutti quei redditi che, se prodotti da un soggetto non residente, sarebbero assoggettati ad imposizione in Italia.

L’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione 147/E/2007, ha precisato che la definizione interna di “reddito prodotto all’estero” è finalizzata a chiarire l’ambito di applicazione dell’istituto nei casi in cui un soggetto residente sia stato assoggettato a tassazione in relazione a redditi prodotti in un Paese con cui l’Italia non abbia firmato una Convenzione contro le doppie imposizioni.

Infatti, in mancanza di un accordo, e tenuto conto delle notevoli diversità degli ordinamenti nazionali e dei criteri di collegamento tra i redditi e il territorio, il comma 2 dell’art. 165 prevede il riconoscimento del credito nei soli casi in cui viene assoggettato a tassazione, nel Paese estero, un reddito che, se prodotto in Italia da un non residente, sarebbe qui stato tassato.

Sempre in tema di redditi esteri, è intervenuta Assonime con la Circolare n. 24 del 16 giugno 2006.

Nella C.M. 9/E/2015, l’Amministrazione Finanziaria chiarisce che la lettura “a specchio” non è applicabile, in presenza di una Convenzione che evita la doppia imposizione adottando il metodo del credito d’imposta. Sul punto l’Agenzia delle Entrate nella citata Circolare n. 9/E precisa che:

“In applicazione della norma convenzionale … il diritto al credito viene riconosciuto in riferimento a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggettato ad imposizione conformemente alla specifica Convenzione applicabile”.

Niente credito d’imposta per redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta

Nel documento di prassi in esame, come peraltro già evidenziato nelle istruzioni di UNICO 2015, l’Amministrazione Finanziaria ribadisce innanzitutto che per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 del TUIR è necessario che i redditi prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente.

L’istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR, come ad esempio i dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate in società white list.

Paese estero

dividendo deliberato: 200.000

ritenuta convenzionale: 15% 30.000

ritenuta effettiva: 20% 40.000

dividendo in uscita: 160.000

Italia

dividendo in entrata: 160.000

quota imponibile: 100%

imponibile (netto frontiera): 160.000

ritenuta: 26%

a titolo di acconto

a titolo di imposta

Imposta sostitutiva: 41.600

Dividendo netto: 118.400

Il versamento dell’imposta sostituitva va effettuato:

– Utilizzando il codice tributo 1242 “imposta sostitutiva su redditi di fonte estera”.

Nel caso di specie, si deve evidenziare come, nella sostanza, l’imposizione del dividendo sia abbastanza simile a quanto avviene per i dividendi distribuiti da società italiana.

Tuttavia, a differenza di quanto avviene per i dividendi di fonte italiana, vi è la presenza della “ritenuta Paese” o della “ritenuta convenzionale”.

Tale ritenuta, tuttavia, non è recuperabile tramite il meccanismo del tax credit , in quanto tali redditi non concorrono alla formazione del reddito complessivo IRPEF, favorendo quindi il sorgere di una parziale doppia imposizione giuridica del dividendo, per l’impossibilità di vantare, in dichiarazione dei redditi, il credito d’imposta relativo alla ritenuta applicata dallo Stato estero.

In merito, si segnala la possibilità di recuperare con la richiesta di rimborso l’eventuale eccedenza della ritenuta subita rispetto alla convenzionale, nel caso in cui la prima (di fatto applicata) si rilevi superiore alla seconda.

La Circolare ricorda che ai sensi di quanto disposto dall’articolo 4 comma 2 del D.Lgs. n. 239 del 1996 non possono comunque usufruire dell’imposizione ordinaria le persone fisiche, le società semplici e i soggetti equiparati, gli enti pubblici e privati, inclusi i trust, residenti in Italia che non hanno quale oggetto principale l’esercizio di attività commerciali, nonché i soggetti esenti da IRES, in relazione agli interessi, ai premi e agli altri frutti derivanti da obbligazioni e titoli similari esteri per i quali il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, è tenuto obbligatoriamente ad autoliquidare l’imposta sostitutiva ivi prevista.

Quali imposte estere considerare?

Per stabilire se il tributo estero rientri tra quelli accreditabili ai fini dell’articolo 165 si può richiamare l’indicazione contenuta nelle Convenzione contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.

Per evitare una nuova negoziazione della Convenzione ogni volta che si verifica una modifica normativa nell’ordinamento tributario di uno degli Stati contraenti, il paragrafo 4 dell’articolo 2 del Modello OCSE prevede l’applicazione del trattato anche alle imposte di natura identica o analoga istituite dopo la sua firma, in aggiunta o in sostituzione delle imposte esistenti, e l’obbligo per le autorità fiscali degli Stati contraenti di comunicarsi le modifiche apportate alle loro rispettive legislazioni fiscali.

Il caso classico è quello della sostituzione dell’IRPEG con l’IRES. Nessuno dubita che i due tributi siano equivalenti. Più problematica è stata a livello internazionale la sostituzione dell’ILOR con l’IRAP.

La definitività delle imposte estere

In base all’art. 165, co. 4, D.P.R. 917/1986 la detrazione del credito per le imposte assolte all’estero deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta a cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione.

Le imposte pagate all’estero, da considerare ai fini della determinazione del credito d’imposta, sono esclusivamente quelle divenute definitive entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta per il quale si intende usufruire del credito stesso.

Il concetto di «definitività» delle imposte assolte all’estero è stato chiarito da alcuni interventi di prassi.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate con la R.M. 147/E/2007 e la C.M. 50/E/2002, ha chiarito che il concetto di definitività viene a coincidere con la sua «irrepetibilità», ossia con la circostanza che essa non sia più suscettibile di modificazione a favore del contribuente.

In base ai chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria:

– risultano irrilevanti possibili interventi dell’Amministrazione Finanziaria che modifichino i redditi del contribuente ancora assoggettabili ad accertamento;

– le imposte pagate a titolo di acconto o in via provvisoria o quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso parziale o totale non devono considerarsi dotate del requisito della «definitività».

Nel caso in cui la definitività dell’imposta si verifichi solo successivamente alla presentazione della dichiarazione in Italia, in base all’articolo 165, comma 7, del Tuir, non si decade dalla possibilità di usufruire del credito d’imposta, ma l’imposta dovuta in Italia sulla base della predetta dichiarazione deve essere nuovamente determinata:

aumentando il reddito imponibile ivi indicato dell’eventuale maggior reddito estero prodotto;

– riconoscendo in detrazione le imposte assolte all’estero in via definitiva, come effettuato nei precedenti esempi.

Ovviamente, la riliquidazione non è effettuata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale il reddito estero ha concorso alla formazione del reddito complessivo in Italia, ma è operata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte assolte all’estero sul reddito estero hanno assunto carattere di definitività.

Documentazione probatoria

Nella recente C.M. 9/E/2015, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che ai fini della verifica della detrazione spettante, il contribuente è tenuto a conservare i seguenti documenti:

– un prospetto recante l’indicazione, separatamente Stato per Stato, dell’ammontare dei redditi prodotti all’estero, l’ammontare delle imposte pagate in via definitiva in relazione ai medesimi, la misura del credito spettante, determinato sulla base della formula di cui al primo comma dell’articolo 165 del TUIR;

– la copia della dichiarazione dei redditi presentata nel Paese estero, qualora sia ivi previsto tale adempimento;

– la ricevuta di versamento delle imposte pagate nel Paese estero;

– l’eventuale certificazione rilasciata dal soggetto che ha corrisposto i redditi di fonte estera;

– l’eventuale richiesta di rimborso, qualora non inserita nella dichiarazione dei redditi.

Credito d’imposta figurativo (c.d. matching credit)

In alcuni Stati (ad esempio, Argentina e Brasile) al fine di garantire gli incentivi fiscali concessi per attrarre investimenti stranieri viene riconosciuto un credito d’imposta figurativo, ossia non riferito ad imposte effettivamente pagate.

In tal caso l’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 9/E in esame precisa che:

– il credito figurativo viene utilizzato / detratto con le medesime modalità previste per il credito d’imposta ordinario. La relativa richiesta va presentata in sede di liquidazione dell’IRES / IRPEF indicando nella dichiarazione dei redditi i redditi prodotti all’estero, le imposte che si sarebbero dovute pagare in regime ordinario oppure l’aliquota indicata nella Convenzione contro le doppie imposizioni e l’ammontare del reddito complessivo “dichiarato nell’esercizio a cui le imposte estere si riferiscono”;

– il credito spettante ai sensi del citato art. 165 è pari alla minore tra l’imposta estera figurativa e la quota d’imposta italiana riferita al reddito estero.

Metodo di calcolo

La Circolare illustra nel dettaglio la procedura di calcolo del credito d’imposta, precisando in che modo devono essere determinati i termini del rapporto di cui al comma 1 dell’articolo 165 del Tuir, quali sono i limiti di accreditabilità delle imposte estere e in quale periodo di imposta deve essere operata la detrazione. Tale parte sarà esaminata in un successivo intervento.

(fonte Fiscal News)

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