Il lavoratore subordinato può svolgere la prestazione all’estero a vario titolo. Valutare la residenza fiscale della persona fisica di nazionalità italiana che svolge attività lavorativa all’estero e quella del soggetto estero che svolge attività lavorativa in Italia è di fondamentale importanza per stabilire i criteri di tassazione dei loro redditi.
Una volta stabilita l’imponibilità in Italia del reddito da lavoro subordinato prestato in un paese estero, è necessario individuare le modalità di calcolo dell’imponibile. Le regole da seguire sono identiche a quelle previste per i redditi di lavoro subordinato prestato in Italia e sono dettate dall’art. 51, co. 1- 8,D.P.R. 917/1986.
L’art. 51, co.8-bis, D.P.R. 917/1986 prevede, in sintesi, una norma “agevolativa” che consente, al verificarsi di determinate condizioni, di tassare in luogo del reddito di lavoro subordinato effettivamente percepito le c.d. “retribuzioni convenzionali”, generalmente, inferiori al reddito effettivamente percepito.
Il contribuente fiscalmente residente in Italia che presta la propria attività lavorativa all’estero per conto di un datore di lavoro estero deve dichiarare quanto percepito al netto dei contributi previdenziali obbligatori versati nello Stato estero. È quanto affermato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 17/E del 24.04.2015, paragrafo 4.7, in risposta alle questioni interpretative in materia di IRPEF prospettate dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale e da altri soggetti.
In tutti i casi in cui troverà applicazione la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del contribuente italiano e lo Stato di produzione del reddito, si realizzerà una doppia imposizione. L’art. 165, co. 10, D.P.R. 917/1986, relativo al credito per le imposte pagate all’estero, stabilisce che “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Premessa
Il lavoratore subordinato può svolgere la prestazione all’estero a vario titolo:
Trasferta
Si tratta di un trasferimento temporaneo (comunque inferiore a 183gg) della sede lavorativa in Italia per esigenze della propria impresa.
Distacco
Il datore di lavoro, nel proprio interesse, pone un suo dipendente “a disposizione” di un’impresa terza, per l’esecuzione temporanea di una determinata attività (art. 30 DLgs. 276/03).
Assunzione all’estero
Il lavoratore viene fin dall’origine assunto da un datore di lavoro estero (per trasferimento definitivo del dipendente o meno).
In tutti e tre i casi bisogna attentamente valutare se e come tassare i redditi prodotti all’estero in Italia.
Da valutare la residenza fiscale
Valutare la residenza fiscale della persona fisica di nazionalità italiana che svolge attività lavorativa all’estero e quella del soggetto estero che svolge attività lavorativa in Italia è di fondamentale importanza per stabilire i criteri di tassazione dei loro redditi.
Il tema della residenza fiscale delle persone fisiche è disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 2 del D.P.R. 917/1986, rubricato “Soggetti passivi”, che dopo aver stabilito al comma 1 che “soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato”, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi “si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno, nel territorio dello Stato, il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.
La norma in commento, dunque, qualifica un soggetto come residente in Italia quando lo stesso, per la maggior parte del periodo di imposta, è in possesso di uno dei seguenti requisiti:
– iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;
– domicilio nel territorio dello Stato;
– residenza nel territorio dello Stato.
È bene analizzare il significato da attribuire alla locuzione “maggior parte del periodo d’imposta”.
La definizione puntuale di “periodo d’imposta” è rinvenibile nell’articolo 7, comma 1, del D.P.R. 917/1986, il quale prevede quale periodo di riferimento l’anno solare. In base a quanto precedentemente detto il periodo d’imposta coincide con l’anno solare.
Il criterio che viene dunque adottato è quello di prevalenza temporale; sono quindi considerati residenti i soggetti che si sono trovati in una delle condizioni sopra indicate per almeno 183 giorni in un anno (184 giorni negli anni bisestili).
L’adozione di un simile criterio, come precisato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 304/E del 2 dicembre 1997, trova giustificazione nella esigenza richiesta dallo stesso Legislatore di “sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione”.
L’esercizio della potestà impositiva italiana
Le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia seguono, generalmente, le indicazioni del Modello OCSE 2010, che costituisce il prototipo convenzionale di riferimento.
Nelle Convenzioni il lavoro subordinato rinviene la sua disciplina nell’art. 15. L’art. 15, paragrafo 1, del Modello OCSE prevede che «….gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato».
Il Modello OCSE non fornisce una definizione dei redditi di lavoro dipendente; occorrerà pertanto riferirsi alle legislazioni degli Stati contraenti (per quanto riguarda l’Italia gli artt. 49, 50 e 51 del TUIR, in tema di redditi di lavoro di pendente ed i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente).
Sono escluse dall’ambito di applicazione dell’articolo in commento le remunerazioni percepite da soggetti:
– in qualità di membri di consigli di amministrazione (art. 16);
– a titolo di pensione (art. 18);
– per servizi pubblici resi ad uno Stato contraente o suddivisione o ente locale (art. 19).
L’art. 15, paragrafo 1, del Modello OCSE 2010 in buona sostanza prevede la potestà impositiva nel Paese di residenza del contribuente, tranne nel caso in cui l’attività venga svolta nel Paese estero, caso in cui si prevede una potestà impositiva concorrente tra i due Stati.
Il par. 2, art. 15, del Modello OCSE prevede delle condizioni al cui verificarsi si applica la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza del lavoratore.
La richiamata disposizione convenzionale recita:
«2. Nonostante le disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di una attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel primo Stato se:
– il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso di un qualsiasi anno fiscale;
– le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
– l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato».
Le tre condizioni poste dal disposto convenzionale, al cui verificarsi trova applicazione la potestà impositiva esclusiva del paese di residenza del lavoratore, devono verificarsi congiuntamente.
L’analisi effettata indica che per il lavoro subordinato svolto all’estero troverà applicazione la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del contribuente italiano e lo Stato di produzione del reddito, ad eccezione del caso relativo al distacco di breve periodo.
La determinazione del reddito imponibile
Una volta stabilita l’imponibilità in Italia del reddito da lavoro subordinato prestato in un paese estero, è necessario individuare le modalità di calcolo dell’imponibile.
Le regole da seguire sono identiche a quelle previste per i redditi di lavoro subordinato prestato in Italia e sono dettate dall’art. 51, co. 1-8,D.P.R. 917/1986. L’art. 51, co.8-bis, D.P.R. 917/1986 stabilisce che “in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del D.L. 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 ottobre 1987, n. 398”.
La citata disposizione prevede, in sintesi, una norma “agevolativa” che consente, al verificarsi di determinate condizioni, di tassare in luogo del reddito di lavoro subordinato effettivamente percepito le c.d.. “retribuzioni convenzionali”, generalmente, inferiori al reddito effettivamente percepito.
Al riguardo, va in primo luogo precisato che la nuova normativa si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, in base all’articolo 2 del TUIR continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia.
Resta fermo, comunque, che la nuova normativa non troverà applicazione, qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questo caso la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne.
Affinché operi la nuova disciplina in commento è necessario che venga stipulato uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero e che il dipendente venga collocato in un speciale ruolo estero.
Da ciò si deduce che tale normativa non si applica ai dipendenti in trasferta, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero, derivante da un contratto specifico.
La disposizione in commento stabilisce che, ai fini della determinazione della base imponibile relativa all’attività prestata all’estero, debba essere considerata una retribuzione convenzionale, senza tener conto dei compensi effettivamente erogati.
Dall’introduzione del criterio convenzionale consegue che qualora il datore di lavoro riconosca al proprio dipendente alcuni benefits, questi emolumenti in natura non subiscono alcuna tassazione autonoma in quanto il loro ammontare sarà ricompreso forfetariamente nella retribuzione convenzionale.
I lavoratori dipendenti in questione conservano, comunque, la piena soggettività passiva per tutti gli altri redditi posseduti o comunque ad essi imputabili in base alle disposizioni tributarie di carattere generale.
Da ciò discende che nessuna esclusione dalla tassazione può essere invocata per le indennità di fine rapporto corrisposte da imprese italiane al personale italiano che abbia prestato lavoro all’estero alle loro dipendenze, anche per la parte afferente ad annualità lavorate effettivamente all’estero.
Affinché si applichino le retribuzioni convenzionali in luogo del reddito effettivamente percepito si devono verificare le condizioni riportante nel seguente schema.
L’applicazione delle retribuzioni convenzionali
– Lavoratore dipendente fiscalmente residente in Italia
– Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa
– Lavoro deve essere oggetto esclusivo del rapporto
– Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni
Qualora una delle suddette condizioni non sia verificata non potrà trovare applicazione la retribuzione Convenzionale ma la tassazione avverrà sul reddito effettivamente percepito.
A decorrere dal periodo di paga in corso dal 1° gennaio 2014 e fino a tutto il periodo di paga in corso al 31 dicembre 2014, le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero, nonché per il calcolo delle imposte sul reddito da lavoro dipendente, sono stabilite nella misura risultante, per ciascun settore, dalle tabelle allegate al Decreto (D.M. 23/12/2013).
È obbligatoria la retribuzione convenzionale?
Un’importante sentenza del giudice di merito, diffusa dalla stampa specializzata, che pone un limite all’applicazione “obbligatoria” delle retribuzioni convenzionali per le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che prestano attività di lavoro subordinato all’estero. È quanto si evince dalla sentenza 67/2/15 depositata il 3 marzo della Ctp di Macerata Macerata, riportata sul SOLE24ORE del 24.04.2015.
Visto che le normativa non ammette eccezioni, non si potrà optare per la tassazione ordinaria (reddito effettivamente percepito) nel caso in cui si presti lavoro all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto.
Certo questo rappresenta un vantaggio nei casi in cui la retribuzione convenzionale sia inferiore al reddito effettivamente percepito. Inoltre, dall’introduzione del criterio convenzionale consegue che qualora il datore di lavoro riconosca al proprio dipendente alcuni benefits, questi emolumenti in natura non subiscono alcuna tassazione autonoma in quanto il loro ammontare sarà ricompreso forfetariamente nella retribuzione convenzionale.
In alcuni casi, tuttavia, l’applicazione delle retribuzioni convenzionali comporta degli svantaggi per il contribuente, risultando superiore a quanto effettivamente percepito. Qualora si verifichi tale ipotesi, il contribuente sarebbe assoggettato su un reddito che in realtà non ha prodotto, in contrasto con il principio di capacita contributiva statuito dell’art. 53 della Costituzione.
In tale contesto assume rilevanza la pronuncia del giudice di merito, il quale, conformemente alla ratio legis, ha ritenuto di accogliere l’eccezione di illegittimità dell’articolo 51 del Tuir ritenendo che l’introduzione del comma 8-bis all’articolo 51 del Tuir mirava evidentemente a disciplinare i soli a favore del contribuente, non potendosi invece applicare nei casi in cui il contribuente ne risulti penalizzato.
La deducibilità dei contributi previdenziali
Il contribuente fiscalmente residente in Italia che presta la propria attività lavorativa all’estero per conto di un datore di lavoro estero deve dichiarare quanto percepito al netto dei contributi previdenziali obbligatori versati nello Stato estero. È quanto affermato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 17/E del 24.04.2015, paragrafo 4.7, in risposta alle questioni interpretative in materia di IRPEF prospettate dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale e da altri soggetti.
Il chiarimento fornito dall’Amministrazione Finanziaria si riferisce al caso in cui NON trovino applicazione le retribuzioni convenzionali, meccanismo che prevede, al verificarsi di determinate condizioni, di tassare in luogo del reddito di lavoro subordinato effettivamente percepito una retribuzione “forfettaria”, generalmente, inferiore al reddito effettivamente percepito.
Questo si evince dal fatto che nel quesito di fa riferimento ai redditi risultanti dalla certificazione rilasciata dal datore di lavoro estero. Per tale fattispecie, viene ribadito, come già affermato dal Ministero delle Finanze con Circolare n. 326 del 1997, che “tenuto conto che il legislatore ha fissato la disciplina dei contributi distinguendo soltanto i contributi obbligatori versati in ottemperanza a una disposizione di legge da quelli che, invece, tali non sono, si deve ritenere che [ai fini della loro deducibilità] sia irrilevante la circostanza che detti contributi, obbligatori o “facoltativi”, siano versati in Italia, sempreché le somme e i valori cui i contributi si riferiscono siano assoggettate a tassazione in Italia”.
Via libera dunque alla deducibilità dal reddito certificato del datore di lavoro estero dei contributi previdenziali obbligatori versati nel paese estero. In tutti i casi in cui al dipendente sia trattenuta una quota di contributi esteri (anche ai fini previdenziali l’Inps ha provveduto a stipulare una serie di trattati bilaterali):
– indipendentemente dal regime di deducibilità di tale trattenuta dalle imposte estere (alcuni Paesi non li considerano deducibili) in Italia:
a) va tassata la retribuzione “lorda” prodotta all’estero (su tale reddito va determinato il credito d’imposta per imposte estere a quadro CR);
b) potendo dedurre detti contributi a rigo RP1 (C.M. 137/1997).
Qualora trovino invece applicazione le retribuzioni convenzionali, è possibile scomputare i contributi previdenziali pagati nel paese estero?
A tal proposito va innanzitutto evidenziato che le retribuzioni convenzionali sono applicabili anche per il contribuente italiano che lavora all’estero per conto di un datore di lavoro estero che non assolva a suo favore gli obblighi contributivi.
Ciò è stato confermato sia con C.M. n. 50/E del 2002, par. 18, che con la C.M. 11/E/2014 , in cui è stato precisato che il soggetto residente che versi nelle condizioni previste dall’articolo 51, comma 8-bis), del TUIR, è tenuto a dichiarare il reddito convenzionale nella misura in cui è definito annualmente con il Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale (ora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali), ancorché non sia presente in Italia alcun soggetto che adempia, in suo favore, gli obblighi contributivi.
Ciò detto, anche qualora il datore di lavoro estero assolva agli obblighi contributivi esclusivamente nel paese estero e siano applicabili le retribuzioni Convenzionali In Italia, si è del parere che siano deducibili tali contributi, al pari di quanto avviene nel caso in cui si tassi la retribuzione effettivamente percepita.
Il credito per le imposte estere
In tutti i casi in cui troverà applicazione la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del contribuente italiano e lo Stato di produzione del reddito, si realizzerà una doppia imposizione.
L’art. 165, co. 10, D.P.R. 917/1986, relativo al credito per le imposte pagate all’estero, stabilisce che “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Per ciò che riguarda l’ottenimento del credito per le imposte estere:
– con la R..M. 12/E/2002, l’Amministrazione Finanziaria ha confermato che il credito a fronte delle imposte pagate all’estero spetta anche se il reddito imponibile in Italia è determinato in base alle retribuzioni convenzionali di cui all’art. 51, co. 8-bis, D.P.R. 917/1986;
– l’art. 36, co. 30, D.L. 223/2006, conv. con modif. dalla L. 248/2006, ha fornito un’interpretazione autentica dell’art. 165, co. 10, D.P.R. 917/1986, stabilendo che lo stesso trova applicazione anche nel caso delle retribuzioni convenzionali dei dipendenti che lavorano all’estero di cui all’art. 51, co. 8-bis, D.P.R. 917/1986.
Concessione del credito limitato alla quota – parte del reddito imponibile In base alle citate disposizioni, il credito per le imposte pagate all’estero sul reddito prodotto oltre frontiera spetta proporzionalmente alla quota-parte che concorre alla formazione della base imponibile.
L’Amministrazione Finanziaria con la R.M. 48/E/2013, oltre a sottolineare che “in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta – in base a quanto previsto dall’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir – il prestatore di lavoro residente fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno ma proporzionale al reddito estero che concorre alla formazione del proprio reddito complessivo”, fornisce indicazioni in merito alle modalità di determinazione del credito d’imposta.
In particolare, nel citato documento di prassi, viene precisato che:
per la determinazione del credito di imposta, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo devono essere ridotte in proporzione al rapporto tra la retribuzione convenzionale ed il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria – e non in misura convenzionale – in Italia.
Diversamente, afferma l’Amministrazione Finanziaria, se, al contrario, “la retribuzione convenzionale fosse rapportata al reddito determinato secondo le regole di tassazione dello Stato della fonte, la riduzione dell’imposta estera detraibile rifletterebbe il livello di generosità che il sistema fiscale domestico riserva ad una categoria di reddito rispetto al trattamento previsto, per il medesimo reddito, dal sistema impositivo estero di volta in volta preso a riferimento”.
Tale affermazione presenta notevoli implicazioni. Innanzitutto, si dovrà procedere alla rielaborazione del reddito prodotto all’estero, con numerose incertezze applicative che dovranno di volta in volta essere risolte con i competenti Uffici in fase di controllo delle dichiarazioni e di riconoscimento del credito spettante.
(fonte Fiscal News)