Le movimentazioni sui conti correnti intestati a soci e amministratori di una società di capitali possono fondare l’accertamento volto alla rettifica del reddito d’impresa da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Basta che quest’ultima dimostri la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche ad essa collegate, non anche, quindi, che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali. Questo il contenuto di una sentenza (numero 2029/2014) della Sesta Sezione Tributaria della Cassazione.
Il dato normativo
L’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 (per gli accertamenti delle imposte sui redditi) e l’articolo 51 del D.P.R. n. 633/1972 (per gli accertamenti IVA) prevedono la possibilità, per l’Agenzia delle Entrate e per la Guardia di Finanza, di procedere a indagini di tipo bancario e finanziario nei confronti dei contribuenti, previa autorizzazione gerarchica.
Ai sensi dell’articolo 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600, i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del medesimo decreto se il contribuente non dimostra:
– che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta;
– oppure che non hanno rilevanza allo stesso fine.
Sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche e accertamenti i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti o operazioni se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.
In modo speculare dispone l’articolo 51 del D.P.R. n. 633/1972 che si riferisce a tutti i soggetti sottoposti a IVA. In base a tale norma i versamenti effettuati devono essere considerati, in difetto di giustificazione da parte del contribuente, cessioni di beni e/o prestazioni di servizio rese “in nero”, mentre i prelevamenti effettuati vanno considerati acquisti e/o utilizzi di prestazioni di servizio “in nero”, sempreché il contribuente non fornisca prova di averne tenuto conto nelle dichiarazioni oppure che non si riferiscono a operazioni
Le presunzioni bancarie vincolano l’Ufficio ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che sia necessario procedere all’analisi delle singole operazioni; analisi che è invece posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova (cfr. Cass. n. 7766 e n. 2821 del 2008; n. 4589/2009).
Estensione della presunzione ai conti dei terzi
Gli ampi poteri istruttori esercitabili dall’Amministrazione Finanziaria – la quale può richiedere agli intermediari bancari e finanziari dati e notizie relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati con i loro clienti – sono esercitabili anche quando, per ipotesi, il correntista non coincide con il soggetto sottoposto a verifica.
Un tipico caso è quello dei conti intestati ai soci o agli amministratori di società e ai parenti dell’imprenditore.
A tal proposito la Guardia di Finanza (circ. n. 1 del 2008) ha sostenuto che possono formare oggetto di verifica non solo i conti intestati al contribuente sottoposto ad accertamento ma anche:
i conti cointestati al contribuente accertato e a soggetti terzi;
i conti intestati a soggetti terzi, ma sui quali il contribuente accertato ha la possibilità di operare;
i conti intestati a soggetti terzi e sui quali il contribuente accertato non ha la possibilità di operare, ma relativamente ai quali gli Uffici ritengono sussistere gli estremi dell’interposizione fittizia, intendendosi per tale l’effettiva riconducibilità al contribuente accertato del conto fittiziamente intestato a un prestanome.
Sempre secondo la GdF la richiesta d’informazioni agli intermediari finanziari (quindi banche, Poste S.p.a. etc.) può anche riguardare i conti su cui il contribuente accertato è autorizzato a operare in virtù, per esempio:
– di ruoli di rappresentanza, con poteri di firma, di persone giuridiche titolari del rapporto;
– di deleghe, procure e mandati ricevuti o rilasciati da terzi;
– di garanzie personali prestate o ricevute da terzi;
– di deleghe occasionali a operare in conto o extra-conto.
L’estendibilità delle indagini bancarie ai conti correnti intestati a soggetti diversi dal contribuente verificato è stata affermata anche dall’Agenzia delle Entrate (circ. n. 32/E del 2006, § 5.2), con la precisazione che la presunzione legale di cui all’articolo 32 del D.P.R. 600/73 opera a condizione che l’Ufficio accertatore “dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è ‘fittizia o comunque è superata’, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione ‘bancaria’ acquisita”.
La posizione delle Entrate tiene conto della giurisprudenza della Cassazione che ha legittimato l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità (cfr. sentenze 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/ 2003).
Secondo la Suprema Corte, in particolare, la presunzione legale “iuris tantum” (cioè che ammette la prova contraria) di cui all’articolo 32 del D.P.R. n. 600/73 è estensibile agli accertamenti bancari sui conti di terzi, quando questi si trovino con il soggetto accertato in relazione di stretta base familiare e di vincolo solidaristico e, data la fonte legale di tale presunzione, la stessa non necessità dei requisiti di gravità, precisazione e concordanza ex art. 2729 c.c. (tra le altre, Cass. n. 6617/2009 e n. 20862/2010).
Si è anche sostenuto (con riferimento a una SNC) che per l’Amministrazione Finanziaria non vi è onere di previa dimostrazione dell’esistenza di “sottrazione di materiale imponibile in capo alla società” ai fini della valorizzazione delle movimentazioni bancarie indentificate sui conti correnti nominalmente intestati ai soci, “atteso che gli indizi di cointeressenza e perciò di riferibilità all’attività d’impresa svolta dalla società possono essere fondati anche sulla circostanza stessa dell’omessa precisa identificazione della origine e provenienza o della destinazione delle somme che risultano transitate sui predetti conti correnti, alla luce del fatto che – specie nelle società di persone – il rapporto intercorrente tra amministratori e società amministrata è talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di interessi, tale da giustificare automaticamente e salvo prova contraria, l’utilizzazione dei dati raccolti” (cfr. Cass. n. 10386/2014).
Quanto alla prova contraria, essa deve consistere nella dimostrazione dell’estraneità delle movimentazioni riscontrate sui conti bancari intestati a terzi rispetto alle operazioni riconducibili al soggetto accertato. Occorre però che la “prova liberatoria” posta a carico del contribuente sia specifica, non potendo bastare una giustificazione generica (Cass. n. 13819/2007).
La sentenza della Cassazione
Non si discosta dai suddetti principi la sentenza in rassegna; in essa si legge, infatti, che, ai sensi degli articoli 32 e 37 del D.P.R. n. 600 del 1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati alla società di capitali, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione Finanziaria, anche tramite presunzione la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.
Ne consegue, secondo la S.C., che, una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali.
Al contrario, la corretta interpretazione dell’art. 32 del D.P.R. 600 del 1973 impone alla società contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività d’impresa (così Cass. 20199/2010, conformi, Cass. 15217/2012, Cass. 12625/2012).
Conclusioni
Insomma, dal lato dell’Amministrazione, le movimentazioni sui conti correnti dei soci e degli amministratori non possono essere attribuite automaticamente alla società perché occorre dimostrare, anche mediante presunzioni, la pertinenza all’ente dei rapporti bancari intestati ai terzi collegati. Alla società tocca invece dimostrare l’estraneità all’attività d’impresa di ciascuna delle movimentazioni riscontrate sui conti bancari intestati a terzi. La prova liberatoria posta a carico della società deve dunque essere specifica, non potendo bastare una giustificazione generica.
(Fonte Fiscal News)