Reverse charge: fatturazione stabilita dalla prestazione principale

In un interessante intervento, Confindustria individua i criteri che a suo avviso devono essere seguiti per stabilire le corrette modalità di fatturazione per il nuovo Reverse charge, chiedendo al contempo un imminente intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione Finanziaria, per dirimere tutte le questioni controverse ancora esistenti.

Nel documento in questione, è stato affrontato in particolare il caso delle prestazioni che sono rivolte in parte ad un edificio ed in parte a beni che si trovano all’interno dell’edificio.

Per tale fattispecie, l’applicazione del Reverse charge all’intera prestazione deve avvenire solo se la prestazione relativa all’edificio costituisce la prestazione principale, mentre quella sul bene mobile può qualificarsi come accessoria.

Premessa

Uno dei principali nodi applicativi relativi alle nuove fattispecie a cui è applicabile il Reverse charge dal 1° Gennaio 2015 riguarda l’individuazione delle prestazione da ricomprendere (o da escludere) dal perimetro applicativo della norma.

Su tale questione un interessante intervento di Confindustria analizza i criteri i criteri  che a suo avviso devono essere seguiti per stabilire le corrette modalità di fatturazione per il nuovo Reverse charge, chiedendo al contempo un imminente intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione Finanziaria, per dirimere tutte le questioni controverse ancora esistenti.

Le prestazioni rilevanti

Tra le prestazioni da assoggettare al nuove Reverse charge, vi rientrano anche le manutenzioni e riparazioni d’impianti.

Va rilevato che non tutte le manutenzioni e riparazioni d’impianti sono da assoggettare a Reverse charge.

Il meccanismo dell’inversione contabile sarà applicabile infatti solo nel caso in cui le manutenzioni e riparazioni siano richiamate nei Codici ATECO indicati dall’Agenzia delle Entrate nella C.M. 14/E/2015.

Attenzione va posta anche al fatto che l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile trova applicazione esclusivamente per le manutenzioni e riparazioni di impianti relativi ad edifici.

Su tale aspetto, va innanzitutto ribadito che nella C.M. 14/E/2015, per quanto riguarda la definizione di “edificio”, si fa riferimento ai precedenti interventi chiarificatori dell’Amministrazione Finanziaria.

Si tratta, in particolare, della Risoluzione n. 46/E/1998 e della Circolare n. 1820 del 23-7-1960 Ministero dei Lavori pubblici.

Nei richiamati interventi di prassi si definisce edificio qualsiasi costruzione coperta isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto, che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome.

Da ricomprendere:

– sia i fabbricati ad uso abitativo che a quelli strumentali, ivi compresi quelli di nuova costruzione, nonché le parti di essi (ad esempio, singolo locale di un edificio);

– gli edifici in corso di costruzione rientranti nella categoria catastale F3 e le “unità in corso di definizione” rientranti nella categoria catastale F4.

Da escludere

– terreni;

– parti del suolo;

– parcheggi;

– piscine;

– giardini, etc., salvo che questi non costituiscano un elemento integrante dell’edificio stesso (ad esempio, piscine collocate sui terrazzi, giardini pensili, impianti fotovoltaici collocati sui tetti, etc.).

Ciò detto, va altresì posta attenzione al collegamento che vi deve essere tra l’impianto e il fabbricato.

Rilevante dottrina1 ha sostenuto che tale collegamento possa desumersi dal Regolamento UE 282/11, cosi come modificato dal Regolamento 1042/13, in vigore dal 1° gennaio 2017.

Va premesso che la normativa richiamata si preoccupa di definire il nesso diretto che deve sussistere tra la prestazione e l’immobile affinché la prestazione venga ricompresa tra i servizi relativi ai beni immobili, riproducendo in sostanza i chiarimenti forni dall’Amministrazione Finanziaria nella R.M. 48/E/2010, laddove si concentrava l’attenzione sulla relazione concreta ed effettiva che la prestazione doveva avere con il bene immobile.

Nel nostro caso, invece, risulta più attinente il riferimento operato dall’Amministrazione Finanziaria, che sottolineando che in ambito fiscale non sussiste una definizione di edificio, fa riferimento all’art. 2 del D.Lgs. n. 192/2005, secondo cui l’edificio consiste in “un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici”.

Come si evince dalla definizione riportata, sono da considerarsi parte del fabbricato tutti gli impianti che si trovano stabilmente all’interno del fabbricato. Pertanto, non è necessario un “legame permanente” tra impianto e fabbricato, ma è sufficiente che l’impianto si trovi stabilmente all’interno dello stesso.

I casi analizzati da Confindustria

Nel documento in questione, è stato affrontato in particolare il caso delle prestazioni che sono rivolte in parte ad un edificio ed in parte a beni che si trovano all’interno dell’edificio.

Viene proposto il caso degli impianti di refrigerazione degli alimenti (celle frigorifere) contenuti in un edificio e che per funzionare sono stabilmente collegati al pavimento.

Per tale fattispecie, si tratta in sostanza di stabilire se l’intervento sulla cella frigorifera:

– sia qualificabile interamente come prestazione a cui è applicabile il nuovo Reverse charge, in quanto relativa all’edificio;

– sia qualificabile interamente come prestazione a cui NON è applicabile il nuovo Reverse charge, in quanto NON relativa all’edificio;

La soluzione prospetta da Confindustria

Per tale fattispecie, se l’intervento è rivolto in via principale alla cella frigorifera e l’intervento sul pavimento è accessorio al quello principale, secondo Confindustria non troverebbe applicazione il Reverse charge, né sarebbe necessario fatturare in parte in Reverse charge e in parte con le modalità ordinarie, ma andrebbe fatturato tutto con le modalità ordinarie.

Di converso, se l’intervento principale è relativo all’edificio e la prestazione derivata o accessoria si rende necessaria per completare quella principale, tutta la prestazione andrà fatturata in Reverse charge.

Infine, quando le prestazioni sono tra loro autonome allora bisognerà separare la fatturazione.

Caso 2

Si pensi all’imbianchino che dipinge i muri dell’edificio e le mura perimetrali del giardino.

La fatturazione sarà a Reverse charge per l’intervento sull’edificio e a regime ordinario per l’intervento sui muri del giardino.

Il concetto di accessorietà

In base alle analisi effettuate nel documento emanato dall’associazione di imprenditori, il concetto di accessorietà ai fini IVA assume un ruolo fondamentale.

Su tale aspetto, va evidenziato che la caratteristica essenziale per qualificare un’operazione come accessoria risiede nella circostanza che, oltre a costituire un unicum sotto il profilo economico con altre operazioni rilevanti ai fini IVA, la stessa deve essere collegata a quella avente carattere principale da un nesso di “dipendenza” funzionale. Tale nesso significa che una prestazione è accessoria ad una prestazione principale quando essa non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal soggetto passivo (Circolare n. 337/E/2008).

Si ricorda che un altro tratto distintivo dell’operazione accessoria, almeno per la normativa interna di cui all’art. 12 del D.P.R. n.633/72 è la necessaria coincidenza tra il soggetto che pone in essere l’operazione principale e quella accessoria.

Il descritto principio dell’identità soggettiva tra colui che effettua l’operazione principale e quella accessoria non è richiesto dalla normativa comunitaria, ed in particolare dall’art. 78, par. 1, della Direttiva n. 2006/112, secondo cui risulta sufficiente che le operazioni accessorie siano addebitate dal fornitore all’acquirente o al destinatario della prestazione, senza tuttavia richiedere alcuna coincidenza soggettiva.

Tale tesi è stata avallata anche da parte della stessa Corte di Giustizia, ed in particolare il principio dell’identità soggettiva è stato disconosciuto dalla sentenza 11.1.2001, causa C-76/99 e dalla la successiva sentenza 21.6.2007, causa C-453/05. In tali interventi è stato confermato che l’accessorietà prescinde dall’identità dei soggetti passivi che effettuano, rispettivamente, l’operazione principale e quella accessoria.

Aderendo alla tesi della giurisprudenza comunitaria, anche se il soggetto che ha effettuato il collaudo è diverso dal soggetto che ha installato l’impianto, tale operazione può considerarsi accessoria all’operazione di installazione, con conseguente applicazione del meccanismo dell’inversione contabile.

(fonte Fiscal News)

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