Paesi "Black List" e presunzione di residenza fiscale

I contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale negli Stati cosiddetti “Black list” (D.M. 04.05.1999) e che si sono visti recapitare un avviso di accertamento per infedele o omessa dichiarazione sul presupposto che la loro residenza fosse rinvenibile in Italia dovranno dare prova che il trasferimento di residenza fiscale nel paese paradisiaco è effettivo.

Premessa

La necessità di individuare la residenza fiscale di una persona fisica discende dal diverso criterio utilizzato per tassare i soggetti residenti rispetto ai non residenti.

Infatti:

– se una persona fisica è considerata residente in Italia, è tassata sui redditi ovunque prodotti (worldwide principle);

– mentre una persona non residente è tassata esclusivamente sui redditi prodotti in Italia.

Il criterio appena descritto, sancito dall’art. 3 del Tuir, comune a molti stati stranieri, determina evidenti fenomeni di doppia imposizione che, a livello internazionale, sono risolti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni. La norma di riferimento, in tema di residenza delle persone fisiche, è l’articolo 2 del D.P.R. 917/1986.

I criteri per individuare la residenza

L’art. 2, D.P.R. 917/1986, dopo aver stabilito al comma 1 che soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno, nel territorio dello Stato, il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.

La norma in commento, dunque, qualifica un soggetto come residente in Italia quando lo stesso, per la maggior parte del periodo di imposta, è in possesso di uno dei seguenti requisiti:

– iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;

– domicilio nel territorio dello Stato;

– residenza nel territorio dello Stato.

Come si evince dal tenore letterale della norma e dalle indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. n. 304/E del 1997 i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti.

Sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.

Nella successiva tabella si riassumono i requisiti previsti dall’articolo 2 del D.P.R. 917/1986.

Presunzione di residenza

L’art. 2, co. 2 bis, D.P.R. 917/1986 stabilisce che si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.

Dunque, se il trasferimento viene operato verso un paese a fiscalità privilegiata, l’onere di provare l’effettività del trasferimento incombe sul contribuente. Ai fini dell’individuazione dei paesi a fiscalità privilegiata è necessario far riferimento alle modifiche introdotte dall’art. 1, co. 83, lett. a), L. 244/2007, che ha sostituito il riferimento alla Black list con quello ad una nuova White list. In sostanza, continueranno ad essere considerate residenti, salvo prova contraria, le persone fisiche cancellate dalle anagrafi della popolazione residente e trasferite in Stati o territori diversi da quelli individuati con un apposito decreto.

Poiché il citato D.M. non è ancora stato emanato si deve far riferimento al D.M. 4 maggio 1999 come modificato dal D.M. 27 luglio 2010.

Stati Black list

Si considerano fiscalmente privilegiati, ai fini dell’applicazione dell’art. 2, comma 2-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, seguenti Stati e territori:

Alderney

Andorra

Anguilla

Antigua e Barbuda

Antille Olandesi

Aruba

Bahama

Bahrein

Barbados

Belize

Bermuda

Brunei

Cipro – Stato eliminato dall’art. 2, D.M. 27 luglio 2010

Costa Rica

Dominica

Emirati Arabi Uniti

Ecuador

Filippine

Gibilterra

Gibuti

Grenada

Guernsey

Hong Kong

Isola di Man

Isole Cayman

Isole Cook

Isole Marshall

Isole Vergini Britanniche

Jersey

Libano

Liberia (Republic of Liberia);

Liechtenstein

Macao

Malaysia

Maldive (Divehi);

Malta – Stato eliminato dall’art. 2, D.M. 27 luglio 2010

Maurizio

Monserrat

Nauru

Niue

Oman

Panama

Polinesia Francese

Monaco

San Marino – Stato eliminato dall’art. 1, D.M. 12 febbraio 2014

Sark (Sercq)

Seicelle (Republic of Seychelles)

Singapore (Republic of Singapore)

Saint Kitts e Nevis (Federation of Saint Kitts and Nevis);

Saint Lucia;

Saint Vincent e Grenadine (Saint Vincent and the Grenadines);

Svizzera (Confederazione Svizzera);

Taiwan (Chunghua MinKuo);

Tonga (Pule’anga Tonga)

Turks e Caicos (The Turks and Caicos Islands)

Tuvalu (The Tuvalu Islands)

Uruguay (Republica Oriental del Uruguay

Vanuatu (Republic of Vanuatu)

Samoa (Indipendent State of Samoa).

Le prove che deve fornire il contribuente

I contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale negli Stati elencati nella precedente tabella e che si sono visti recapitare un avviso di accertamento per infedele o omessa dichiarazione sul presupposto che la loro residenza fiscale sia rinvenibile in Italia, dovranno dar prova che il trasferimento di residenza fiscale è effettivo. A tal fine, l’Amministrazione Finanziaria con la C.M. 140/E/1999 elenca una serie di possibili elementi di prova che giustifichino l’effettivo trasferimento di residenza nel paradiso fiscale:

 -la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;

– l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero;

– lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;

– la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;

– fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero;

– la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero e da e per l’Italia;

– l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del paese d’immigrazione;

– l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.;

– la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

Un recente intervento della Cassazione

Una recente sentenza della Suprema Corte ha avuto per oggetto il rimborso al contribuente di una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 27%, applicata su dividendi da partecipazione percepiti dalla socia (persona fisica) di una società di capitali residente in Italia.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria la ritenuta non era rimborsabile in quanto il contribuente aveva trasferito la propria residenza fiscale all’estero e per la precisione in Svizzera. Di diverso avviso il contribuente, che sosteneva che pur avendo trasferito la residenza anagrafica in Svizzera, doveva essere applicata la presunzione di residenza ex co. 2-bis, art. 2, D.P.R. 917/1986.

In sostanza, il contribuente avrebbe dovuto essere considerato residente fiscalmente in Italia e i dividendi avrebbero dovuto esserle corrisposti senza l’applicazione della ritenuta prevista per i soggetti non residenti, dato che i proventi percepiti erano stati inseriti anche nella dichiarazione dei redditi.

Secondo la Corte di Cassazione, l’applicazione delle richiamate disposizioni normative (di natura antielusiva) non comporta una deroga ai principi sulla prova indicati dal Codice civile.

Infatti, “la prova costituisce infatti, in base all’art. 2697 del Codice civile, un onere per il soggetto interessato a far valere gli effetti del fatto da provare, e quindi ad affermarlo, di guisa che alla parte interessata all’esistenza del rapporto spetta la prova del fatto costitutivo, e alla parte interessata al modo o all’inesistenza del rapporto spetta la prova del fatto impeditivo o modificativo o estintivo”.

Siccome nel contesto del co. 2-bis, art. 2, D.P.R. 917/1986, la prova da fornire è quella della non residenza in Italia del soggetto (stabilita in forza di una presunzione legale relativa), secondo la Corte è il Fisco italiano a dover fornire questa dimostrazione; l’onere della prova grava, quindi, sull’Ufficio finanziario.

Siccome la Ctr non si era attenuta a questo principio, la sentenza è stata cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione di merito ed il primo motivo di ricorso (violazione del principio di non contestazione) assorbito dalla decisione sul secondo.

Dunque, in presenza di una presunzione legale relativa approntata dal Legislatore a tutela delle ragioni erariali, con orientamento spiccatamente antielusivo (volto a contrastare le ipotesi di falsa residenza in giurisdizioni fiscalmente privilegiate), detta presunzione può operare anche a favore del contribuente.

(fonte Fiscal News)

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