Qualora l’esportatore abituale rilasci nei confronti del cedente una dichiarazione di intento falsa, l’operazione viene riqualificata come imponibile IVA. Anche il fornitore sarà responsabile dell’imposta, a meno che non provi di essere estraneo alla frode, non essendo a conoscenza della falsità del documento.
In tal senso di è espressa la suprema Corte di Cassazione prima con l’ordinanza n. 176, depositata il 9 gennaio 2015 e, successivamente, con la sentenza n. 4593/2015. Nello specifico, il giudice di legittimità ha stabilito che il cedente/fornitore è tenuto al versamento dell’IVA sulle operazioni effettuate senza applicazione d’imposta sulla base di dichiarazioni di intento false ideologicamente.
Premessa
I contribuenti che effettuano cessioni all’esportazione ed operazioni assimilate (c.d. esportatori abituali), in presenza di determinate condizioni ed entro determinati limiti (art. 1 del D.L. 746/1983), possono acquistare e importare beni e servizi senza il pagamento d’imposta.
Lo status di esportatore abituale si acquisisce quando la percentuale derivante dal rapporto tra l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione, delle operazioni assimilate, dei servizi internazionali e delle operazioni intracomunitarie, registrate nell’anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti e il relativo volume di affari, determinato a norma dell’art. 20 del D.P.R. 633/72, senza tener conto dei beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, é superiore al 10%.
Calcolo del plafond
L’esportatore abituale può acquistare e importare beni e servizi in sospensione d’imposta (senza applicazione dell’I.V.A.) entro un determinato limite, detto per l’appunto plafond disponibile.
In merito, esistono due differenti metodi di calcolo del plafond I.V.A.:
– il metodo c.d. fisso o solare.
Si possano acquistare beni e servizi o importare beni senza il pagamento dell’I.V.A. nei limiti dell’ammontare complessivo delle cessioni e/o prestazioni di servizi effettuate nell’anno solare precedente.
– il metodo c.d. mobile o dei dodici mesi precedenti.
In questo caso si possono acquistare beni e servizi o importare beni senza il pagamento dell’I.V.A. nei limiti dell’ammontare complessivo delle cessioni e/o prestazioni di servizi effettuate nei dodici mesi precedenti.
Gli esportatori abituali, possono compiere acquisti – dietro presentazione della “lettera di intento” al proprio fornitore – senza l’applicazione dell’IVA, nei limiti dei corrispettivi realizzati per tali operazioni nell’anno solare precedente (ovvero nei dodici mesi precedenti).
Operazioni rilevanti ai fini del plafond
Dal punto di vista oggettivo, si riportano le operazioni che concorrono alla formazione del plafond I.V.A.:
– cessioni intracomunitarie (art. 41 comma 1 e 2 del D.L. n. 331/93);
– triangolazioni nazionali (art. 58 comma 1 del D.L. n. 331/93);
– cessioni intracomunitarie di beni estratti da depositi I.V.A. (art. 50 bis comma 4 lett. f del D.L. n. 331/93);
– cessioni di beni estratti da depositi I.V.A. con trasporto o spedizione fuori del territorio doganale della comunità (art. 50 bis comma 4 lett. g del D.L. n. 331/93);
– cessioni intracomunitarie di prodotti agricoli e ittici effettuate da produttori agricoli di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 633/72 (art. 51 comma 3 del D.L. n. 331/93);
– cessioni all’esportazione (art. 8 comma 1 lett. a. e b. del D.P.R. n. 633/72);
– operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione (art. 8 bis, comma 1 del D.P.R. n. 633/72);
– servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali (art. 9 comma 1 del D.P.R. n. 633/72);
– operazioni con la Città del Vaticano o con la Repubblica San Marino (art. 71 comma 1 del D.P.R. n. 633/72);
– operazioni non imponibili in base a trattati e accordi internazionali (art. 72 del D.P.R. n. 633/72);
– margine delle operazioni non imponibile I.V.A. relative ai beni usati (art. 37 comma 1 del D.L. n. 41/95).
Plafond per i soggetti non residenti
Anche un soggetto passivo non residente, che ha provveduto ad identificarsi in Italia ai fini degli adempimenti IVA, tramite un rappresentante fiscale, ha diritto alla maturazione del plafond che permette di effettuare acquisti senza l’applicazione dell’I.V.A.
Tale possibilità è stata confermata dall’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale normativa, con la recente Nota Ministeriale n. 80/E del 4 agosto 2011, emanata in risposta ad un’istanza di interpello presentata dal contribuente.
L’Agenzia delle Entrate, nel confermare la possibilità di fruire dell’agevolazione anche per il soggetto non residente identificato ai fini IVA in Italia, ha specificato che il soggetto estero cedente, identificato nel territorio dello Stato, realizza un’operazione rilevante ai fini dell’Iva i cui corrispettivi danno titolo ad acquistare senza imposta sul valore aggiunto, nei seguenti casi:
– esportazioni;
– cessioni intracomunitarie;
– cessioni di beni e/o prestazioni di servizi interni non imponibili (ex articoli 8–bis e 9 del D.P.R. n. 633/1972) nei confronti di altri soggetti non residenti ovvero privati.
Di contro, il soggetto estero non realizza alcuna operazione rilevante ai fini della maturazione del plafond in caso di:
– cessioni interne nei confronti di soggetti passivi residenti [o ad essi assimilati di cui all’art. 7-ter, comma 2, lettere b) e c) del D.P.R. n. 633/1972];
– servizi interni nei confronti di soggetti passivi residenti [o ad essi assimilati di cui all’art. 7-ter, comma 2, lettere b) e c) del D.P.R. n. 633/1972].
Infatti, in entrambe le ipotesi sopra indicate, la qualifica di debitore d’imposta è assunta dal cessionario ovvero committente, soggetto passivo stabilito in Italia (articolo 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972), che dovrà assolvere l’imposta mediante applicazione del meccanismo del “Reverse charge”.
Le novità del Decreto Semplificazioni
In passato, il cedente del bene ossia il prestatore del servizio era obbligato ad effettuare una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate prima dell’effettuazione dell’operazione.
Tuttavia, a decorrere dal 01.01.2015, con l’introduzione del D.lgs. n. 175/2014, c.d. “Decreto Semplificazioni”, l’esportatore abituale ha l’obbligo di comunicare i dati delle dichiarazioni d’intento.
In particolare, gli esportatori abituali che vogliono acquistare o importare beni senza l’applicazione dell’imposta devono inviare:
– all’Agenzia delle Entrate i dati e le notizie delle dichiarazioni d’intento emesse;
– al fornitore ed alla Dogana gli estremi delle dichiarazioni d’intento unitamente alla ricevuta di avvenuta presentazione delle stesse rilasciata da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Dal canto suo, il fornitore potrà emettere la fattura senza applicazione dell’IVA solo dopo aver seguito un preciso iter procedurale, ovvero solo dopo aver:
– ricevuto le dichiarazioni d’intento e le ricevute di presentazione all’Agenzia delle Entrate;
– riscontrato l’avvenuta presentazione delle suddette dichiarazioni d’intento presso Agenzia delle Entrate da parte dell’esportatore abituale.
In estrema sintesi, le ulteriori novità ed incombenze introdotte dal Decreto Semplificazioni possono essere così riassunte:
– utilizzo obbligatorio, dal 12 febbraio 2015 del nuovo modello “Mod.DI”, necessario per la presentazione telematica della dichiarazione di intento;
– indicazione nel predetto “Mod. DI” della tipologia di plafond utilizzato e di informazioni relative alla costituzione dello stesso;
– introduzione di nuove modalità con cui il fornitore potrà riscontrare, nel sito internet dell’Agenzia delle Entrate, la correttezza delle dichiarazioni di intento ricevute;
– utilizzo di una procedura alternativa di verifica della correttezza della dichiarazione di intento mediante utilizzo del cassetto fiscale per i soggetti abilitati (servizi telematici Entratel o Fisconline );
– utilizzo di una stessa dichiarazione d’intento per una serie di operazioni doganali
d’importazione, fino a concorrenza di un determinato ammontare da utilizzarsi nell’anno di riferimento;
– adozione della nuova disciplina sanzionatoria prevista per le violazioni alla normativa introdotta dal 1° gennaio 2015 (art. 7, comma 4-bis, D.lgs. n. 471/97, dal 100% al 200% dell’imposta qualora “il cedente o prestatore effettui operazioni nei confronti dell’esportatore abituale prima di aver ricevuto da parte di questi la dichiarazione d’intento ed averne riscontrato l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate”).
Le frodi carosello ai fini IVA
Solitamente, nell’ambito delle c.d. “frodi carosello” più articolate, la società cartiera (che non versa l’IVA e non presenta dichiarazioni dei redditi), talvolta rilascia dichiarazioni di intento false, consentendo l’emissione di fatture senza applicazione dell’IVA da parte di soggetti terzi.
Lo scopo del meccanismo di frode è di consentire alla società che ha messo in piedi il sistema fraudolento (es. Alfa S.p.A., dominus dell’organizzazione) oltre di annotare fatture false, anche di scaricare il magazzino allineando la giacenza contabile a quella fisica.
Infatti, in ipotesi di ingenti acquisti in nero, il magazzino aziendale ha la necessità di essere rettificato mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti, proprio per scaricare la giacenza contabile.
Tuttavia, proprio perché la cartiera non pone in essere reali operazioni economiche, ma agisce nella transazione commerciale in qualità di società filtro e mero schermo giuridico, non possiede sicuramente i requisiti per qualificarsi come esportatore abituale.
La recente giurisprudenza di legittimità
La “società cartiera”, dopo avere integrato la fattura ricevuta dal fornitore estero, rivende la merce, di solito sottocosto, al cessionario italiano (reale acquirente e destinatario della merce), applicando l’IVA del 22% e consentendo a quest’ultimo l’indebita detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.
La stessa società, che è generalmente amministrata da un soggetto prestanome:
– non svolge alcuna attività commerciale;
– non istituisce le scritture contabili;
– non presenta le prescritte dichiarazioni (redditi ed IVA);
– non possiede, normalmente, locali commerciali;
– generalmente, viene posta in liquidazione dopo pochi mesi dalla sua costituzione.
Con la recente sentenza n. 4593/15 la Corte di Cassazione ha esaminato i profili di responsabilità del fornitore in ipotesi di rilascio, da parte dell’acquirente, di una dichiarazione di intento falsa.
In particolare, se il cedente/fornitore è a conoscenza che il suo cliente è privo dei requisiti per essere considerato esportatore abituale (es, perché opera come una società cartiera), ossia si trova in una situazione di consapevolezza dell’intento della controparte di porre in essere una frode carosello (acquistare beni non assoggettati ad I.V.A. con la finalità di reimmetterli in consumo senza versare il tributo connesso), risponderà dell’imposta non esposta sulla fattura con l’aggiunta di sanzioni ed interessi.
Il fornitore sarà altresì considerato responsabile anche nei casi in cui, qualora la lettera d’intento sia ideologicamente falsa, lo stesso non dimostri di avere adottato tutte le misure idonee e ragionevoli per provare il proprio non coinvolgimento nella operazione illecita, realizzando, di fatto, l’inversione dell’onere della prova del non coinvolgimento a carico del cedente/fornitore.
Quindi, il cedente/fornitore sarà tenuto a rettificare l’operazione applicando l’I.V.A. salvo che risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi di non partecipare alla frode commessa dal falso esportatore abituale.
In precedenza, con l’ordinanza n. 176 del 21 novembre 2014, depositata il 9 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha confermato tale impostazione. Nello specifico, i giudici di legittimità hanno rilevato che la non imponibilità delle cessioni all’esportazione fatte nei confronti di esportatori abituali ex articolo 8, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 633/1972 è subordinata, nella disciplina del D.L. n. 746 del 1983, all’emissione di specifica ‘‘dichiarazione d’intento’’ da parte dell’esportatore (art. 1, comma 1, lett. c), mentre il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante dall’eventuale falsità (cfr. Cass. n. 21956/2010).
Tuttavia, tale affermazione non può essere scissa dai successivi approfondimenti espressi in altre pronunzie della stessa Corte di Cassazione, dirette a sottolineare che il beneficio fiscale sopra ricordato non può essere correlato alla sola formale sussistenza della dichiarazione, occorrendo che il contribuente cedente dimostri, in caso di dichiarazioni ideologicamente false, l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta del cessionario.
In conclusione, i giudici hanno evidenziato che solo quando la dichiarazione d’intento esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l’operazione non sia destinata all’esportazione, ma abbia una destinazione nazionale), per detto cedente l’operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta esportazione della merce, non potendosi in caso contrario applicare la disciplina prevista dall’articolo 8 del D.P.R. n. 633/1972, per mancanza originaria dell’elemento che caratterizza quel modello legale (cfr. Cass. n. 7389/12; Cass. n. 13293/13).
(fonte Fiscal News)